Intervista su Donna Moderna (maggio 2024)

L‘ageismo, ovvero lo stigma dell’età, colpisce gli anziani (maschi e femmine) e non risparmia i giovani in base alla generazione di appartenenza. Ma le più colpite sono le donne, che subiscono il doppio degli stereotipi. Vediamo come

Prendi la popolazione mondiale, dividila a metà, conta quante donne sono over 50. Ora hai un paio di certezze: tutte hanno le rughe e sono in menopausa. Dovrebbero essere due fatti normali, fisiologici, naturali, invece i segni sul viso e la fine del ciclo mestruale non solo ci colgono quasi sempre impreparate ma vanno a braccetto con una nuova epidemia sociale che persino l’Oms si raccomanda di prevenire. È lo stigma dell’età, oggi detto ageismo.

Che cos’è l’ageismo

Una discriminazione che colpisce gli anziani (maschi e femmine) e non risparmia i giovani, una forma di intolleranza e di pregiudizio che divide le persone in base al target di appartenenza. Così gli over 50-60 sono esclusi perché considerati troppo vecchi e i teenager ignorati perché ritenuti troppo immaturi per essere presi sul serio. E le donne? Inutile dirlo: subiscono il doppio degli stereotipi.A cominciare da quelli che loro stesse hanno interiorizzato sull’aspetto fisico, sulla bellezza che sfiorisce, sulle rughe da combattere, come se il viso fosse un campo di battaglia da spianare e non raccontasse, invece, la storia unica di tutte noi. Per dirla alla Anna Magnani, quei segni li abbiamo pagati cari. Invece oggi è corsa a levarseli per paura di diventare invisibili.

Ageismo e anti-aging

Qualche dato dà la misura di questo conflitto aperto tra noi e le frontali, le zampe di gallina, le codice a barre sopra il labbro: nel 2022 la spesa in Italia per creme anti-age è stata di oltre 650 milioni di euro, dice l’associazione Cosmetica Italia. Con una nota interessante: le 40enni spendono tanto quanto le over 60. Non è un segnale negativo, anzi. Secondo Giulia Penazzi, cosmetologa e autrice del saggio Invecchiare non è una colpa (Edizioni Lswr), una buona genetica aiuta, «ma è la cura che abbiamo di noi stesse nel tempo a fare la differenza. Negli anni ’80 il marketing aveva inventato il termine anti-aging per creare un senso di necessità tra le donne mature che non si curavano, con toni quasi militareschi come “combattere le rughe”, “lottare contro i segni dell’età”. Finendo per far identificare la bellezza con la giovinezza. Oggi c’è una comunicazione più morbida che invita ad accompagnare la pelle nel tempo per mantenerla sana e radiosa, come anticip’aging e slow aging: slogan che puntano su un concetto positivo di longevità e di prevenzione».

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